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La storia della miniera di Campolecciano
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1915-1918. Tempo di guerra e come sempre, lutti e sacrifici, fame e miseria, per la maggior parte della popolazione. Anche nel comune di Rosignano si lotta contro la fame e la miseria, solo le famiglie che ancora hanno braccia per lavorare la terra hanno più probabilità di mettere qualcosa in tavola. Una mano importante arriva dalle attività industriali che hanno iniziato in questi anni a svilupparsi nella zona e nelle quali il lavoro va avanti o riprende a ritmo sostenuto proprio perchè legato all’attività bellica in corso.

Nella nuova fabbrica Solvay la produzione della caustica, necessaria alla produzione di esplosivi, iniziata negli ultimi mesi del 1916, comincia a toccare vertici consistenti. Lavorano nello stabilimento, in turni che si protraggono anche per dodici ore su sei giorni, circa 350 persone comprese più di 50 donne. Ma qui interessano due cave che sono in piena attività sulla collina dietro a Castiglioncello, fra il mare ed il Poggio Pelato. Quella di Campolecciano è ubicata sulle pendici di Poggio San Quirico e in prossimità del Botro Fortulla.

Entrano in funzione nel 1919 e cessano del tutto l’attività nel 1943 ed in questo arco di tempo sono aperti i seguenti cantieri: “San Quirico”, “Mammellone”, “Acqua Padula”, “Speranza”, “Crocino”, “Santa Barbara”, “Macchia Escafrullina”. La miniera di Castiglioncello si trova alle pendici del Monte Pelato, in località “Massaccio” che da, appunto, nome al cantiere. Una appartiene alla Società Anonima Magnesite ed occupa 280 unità (227 maschi e 53 donne). L’altra, sul versante di Campolecciano, è di proprietà della ditta Lavelli di Milano e da lavoro di 140 operai, di cui 31 donne. Entrambi estraggono magnesite greggia per uso metallurgico (mattoni refrattari per forni e altoforni), favorite dall’ampiezza e dall’ottima qualità delle vene del minerale.

La produzione di circa 200.000 tonnellate di materiale, viene trasportata sulla costa e prende la via mare soprattutto con chiatte che attraccavano nel golfo delle Forbici, e vengono caricate a mezzo di una teleferica ancora visibile negli anni ’70. Nello stabilimento sono in funzione due forni: uno per cuocere la magnesite allo scopo di favorire l’allontanamento dell’anidride carbonica dal minerale; l’altro per cuocere i mattoni refrattari. Al termine del conflitto, nei primi «anni 20» le ditte Magnesite e Lavelli riducono gradualmente le maestranze fino alla chiusura della loro attività, che iniziata in piena guerra nel 1916, cessa del tutto, anche come esplorazione, nel 1929.

fonte: lungomarecastiglioncello.it

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